Così riparlò Zarathustra
“Dio era morto per voi uomini, ma voi non contenti della meravigliosa e solitaria libertà che avevate, ne avete subito inventato un altro, ancora più falso e illusorio; questo Dio si chiama scienza e progresso. A questo avete votato tutto ciò che di prezioso avete: l’intelligenza dello stupore e il fremere dell’animo davanti all’ignoto. Il nuovo Dio in cambio vi ha dato false certezze ed effimere sicurezze. Egli adesso, inesistente in natura, vive il riflesso delle vostre false certezze e paure, simulacro ingigantito dalla brama del desiderio. I deboli hanno vinto e il loro strumento di propaganda, quel cubo parlante, vi irretisce in pensieri anonimi. Oggi infatti la piccola gente è la padrona: coloro predicano, tutti, rassegnazione e modestia e senno e diligenza e riguardo e il lungo eccetera delle piccole virtù. Ciò che è ipocrita, ciò che discende da uomini aridi e in particolare tutto l’intruglio plebeo, ciò vuole oggi dominare su tutto il destino dell’uomo e ne ha trovato il mezzo, in modo che non servano più le bocche per portare di parola in parola, ma che tutto possa procedere per riflesso automatico. Il piccolo sogno riproduce continuamente se stesso. Ricordo che, quando venni a voi l’ultima volta, predicai nel mercato e quando parlai a tutti, non parlai a nessuno. A sera però, erano miei compagni funamboli e cadaveri; e io stesso ero quasi un cadavere. Adesso chiunque può parlare a tutti e a nessuno, parole che risuonano nelle orecchie morte. Essi acclamano attraverso i loro simulacri le piccole virtù, le piccole assennatezze, i riguardi minuscoli, il brulichio delle formiche , il benessere miserabile, la felicità del maggior numero, mentono ignari del vero. Ed il mondo invero, è alla carestia e alla guerra. Queste ora sono le mie parole per uomini e donne che ancora udita, ricordate che ogni parola si addice ad ogni bocca: a quelle vere le pecore non possono allungare le zampe. Credete forse che io sia qui a riparare ciò che avete guastato? O che io volessi, d’ora in poi, preparare un giaciglio più comodo per voi sofferenti? O mostrare a voi, instabili, smarriti, sperduti pei monti, nuovi e più facili sentieri? Non farò ciò che il gregge chiede, e cioè sempre il buon pastore, sarò invece il lupo, a sbandare il gregge. Pazzi, che così facendo, sempre i migliori della vostra specie fate perire, giacché voi dovete avere una vita sempre peggiore e più dura. Soltanto così, all’uomo pare crescere a quell’altezza dove il fulmine lo colpisce e lo spezza: alto abbastanza per il fulmine! Non ne siete capaci, troppo pochi di voi lo fanno attraverso la gioia dell’essere, i molti vengono immolati alla luna. L’unica speranza è che tu ascolti non più tardi che nell’adesso e nel qui. Adesso torno da dove venni e forse tornerò fra cento anni, oppure non vi sarà più luogo ove possa tornare, poiché il mio esistere non ha senso, senza coloro che ascoltano”.
Sauro Tronconi